16-05-2016

Parità di genere ma disparità di stipendi

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Nell’ultima settimana l’America è stata scossa, se vogliamo fingere che la cosa potesse sorprendere qualcuno, da un’inchiesta del New York Times su Donald Trump, dove con oltre 50 interviste a uomini e donne che hanno collaborato con lui negli anni viene tracciata un’immagine alquanto inquietante, sebbene non sconvolgente, della considerazione che il candidato repubblicano nutre per l’altro sesso.

Tralasciando l’analisi politica del fenomeno, che probabilmente condurrà a delle elezioni in cui il sesso degli elettori conterà più di quello dei candidati e potrebbe riservare esiti contro intuitivi, bisogna dare merito alla testata americana di aver riacceso la luce su un argomento che mediamente viene trattato giusto un paio di volte l’anno e solo retoricamente. La discriminazione di genere.

E sebbene la festa della donna sia già passata è comunque utile dare un paio di numeri. Secondo un’analisi di Korn Ferry Hay Group condotta in 33 paesi, una donna guadagna in media il 18% in meno rispetto ad un uomo. Ma il numero nudo e crudo, è fuorviante.

Perché l’analisi di Hay Group, anche se non lo dice apertamente, sembra sostenere che il cosiddetto gender gap non esista. Il punto chiave della statistica è un problema di forte endogeneità, si stanno confrontando mele e pere e non mele rosse e mele verdi.

Il motivo principale della differenza salariale tra uomini e donne risiede nei diversi lavori che le due componenti svolgono. Un dato su tutti: la componente femminile del settore del lavoro d’ufficio è pari al 40% ma crolla drasticamente al 17% se si considerano le posizioni dirigenziali.

A riprova di ciò sta il fatto che l’analisi like for like, ovvero il confronto tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione all’interno della stessa azienda riporta una differenza di solo l’1,6%. A favore degli uomini ovviamente.

Ora, sarà pur vero che un punto e mezzo non è poi tanto, ma non si capisce perché esistere. L’unica spiegazione è che gli uomini siano leggermente più bravi delle donne a svolgere quella medesima mansione e meritino un riconoscimento. Considerando che l’analisi attraversa diversi mestieri, dai i più ai meno remunerativi e di diversa natura, possibile che in un campione di otto milioni di persone gli uomini siano sempre più bravi a fare tutti i lavori?

In ogni caso, senza volere guardare al punto percentuale, negare il gender gap significa negare la realtà. E a parlare è la prima statistica, quella sulla presenza delle donne in postazione di comando. Tanto più che solo a fare i nomi di Marissa Mayer (CEO Yahoo), Sheryl Sandberg (direttore operativo Facebook) e Susan Wojcicki (CEO YouTube) crolla anche il mito che le donne non sappiano fare impresa. E sì, Sheryl Sandberg ha due figli.

È d’obbligo infine, anche se non incoraggiante, dare un occhio ai numeri che provengono dal nostro paese. L’ultimo Gender Gap Report ci pone al 41 posto tra i 145 paesi presi in considerazione (è il primo anno che siamo nei primi 70) e nonostante alcuni numeri siano sopra la media dei paesi considerati, la parità è ancora lontana. Ogni cento uomini, lavorano solo settantadue donne e a parità di mansione il coefficiente di uguaglianza è solo del 0.56, ben lontano da 1 che rappresenta l’uguaglianza e dal 0.77 dell’Islanda prima in classifica.

Ancora più bassa è la percentuale di donne presenti nei direttivi delle imprese quotate, solo l’8%.

Chiudiamo con una curiosità. L’unico paese in cui in media le donne guadagnano più degli uomini, sia a livello generale che all’interno della stessa mansione, sono gli Emirati Arabi dove le donne in media guadagnano il 2% in più. Questo è dovuto al fatto che la partecipazione femminile al mondo del lavoro è decisamente bassa (13%) e le uniche donne con un impiego hanno livelli d’istruzione più alti rispetto agli uomini. Non il paradiso, ma certo ammirevole per un paese che qui consideriamo avere una visione degradante della donna.

 

 



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