11-04-2016

Come Funzionano le Pensioni: modello retributivo e contributivo e pensioni integrative

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Come anticipato la scorsa settimana, oggi andremo nel dettaglio della classificazione dei sistemi pensionistici secondo il criterio della determinazione della prestazione pensionistica. Scopriremo quindi la differenza tra modelli Defined Benefit (DB) e Defined Contribution (DC).

Nei primi le caratteristiche della contribuzione pensionistica sono noti all’individuo fin dal momento in cui aderisce al piano pensionistico mentre nei secondi è prestabilito il piano contributivo ma non è noto l’ammontare finale della retribuzione. Usando ora due termini che spesso ricorrono nel dibattito pensionistico italiano vediamo che il ‘retibutivo’ rientra nei Defined Benefit mentre il ‘contributivo’ si colloca tra i Defined Contribution.

Il sistema retributivo infatti determina l’ammontare dell’assegno pensionistico sulla base della retribuzione del lavoratore, comunemente l’ultimo stipendio o una media di questi, assicurando idealmente un tenore di vita comparabile a quello avuto durante l’attività.

Il sistema contributivo invece prevede che invece la pensione venga determinata sulla base dei contributi versati dal lavoratore che saranno poi ritornati moltiplicati per un tasso di rendimento definito.

Nei paesi in cui si può parlare di welfare state solitamente il sistema pensionistico si basa sui cosiddetti tre pilastri. Il primo è un sistema pensionistico pubblico, obbligatorio e solitamente a ripartizione. Il secondo è formato dai piani pensionistici occupazionali, quindi privati, che possono obbligatori o volontari ma a capitalizzazione. Il terzo raccoglie i fondi pensione individuali che ogni lavoratore può scegliere se adottare o meno.

In Italia, il quadro normativo è stato caratterizzato da un susseguirsi di riforme attuate negli ultimi vent’anni per correggere un impianto che a seguito delle mutate condizioni demografiche risultava estremamente generoso e non più sostenibile.

La Riforma Fornero, nel 2011, ha definito così un Sistema a Ripartizione calcolato con metodo contributivo esteso a tutti i lavoratori in grado di riallineare il rapporto tra spesa pensionistica e PIL alla media europea (nel medio-lungo periodo) e ridurre il divario tra le diverse categorie di pensionati (settore pubblico e privato, uomini e donne, etc.). Dovendo però, per fare ciò, elevare i requisiti minimi per l’accesso alla pensione e le aliquote contributive.

Nonostante le recenti riforme le stime a lungo termine prevedono un progressivo impoverimento della popolazione non più attiva sul mercato del lavoro, tenendo ben presente che il reddito da pensione costituisce la maggior parte della ricchezza della categoria, se oggi esso si attesta sul 60-70% del precedente stipendio nel 2050 difficilmente raggiungerà il 50%.

Risulta quindi evidente che affidarsi esclusivamente al primo pilastro e quindi al solo sistema pensionistico pubblico non può più essere un’opzione percorribile per il lavoratore e nell’ottica di incentivare l’adesione a forme di pensione integrativa vanno collocate le riforme del 2004 e del 2005 quando si stabilì, a meno di espressa dichiarazione di contrarietà, di trasferire il TFR a fondi pensione con relativi sgravi fiscali.

La differenza tra il classico trattamento di fine rapporto e la sua destinazione ai fondi pensione sta nel fatto che il primo ha dei rendimenti decisamente inferiori ma non è sottoposto ad alcun rischio poiché anche in caso di fallimento dell’azienda la somma sarebbe coperta dall’INPS. Tuttavia, la quota di lavoratori che hanno scelto una pensione integrativa rimane una minoranza con un tasso di adesione di poco superiore al 20% della forza lavoro totale e una ricchezza investita inferiore al 10% del PIL contro una media OCSE del 67,6%.

Cerchiamo di fare ulteriore chiarezza con un video, prodotto da "Un giorno per il futuro", sul passaggio da Sistema Sontributivo a Sistema a Ripartizione.

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