29-02-2016

Accordi e chiacchere su Brexit, quali conseguenze al referendum?

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La presa di posizione del sindaco londinese Boris Johnson ha fatto precipitare la sterlina che ha toccato il suo minimo nei confronti del dollaro da quasi un anno. E questo solo pochi giorni dopo che i mercati avevano premiato l’accordo raggiunto tra Gran Bretagna e Unione Europea in merito alle condizioni per la permanenza del paese di Sua Maestà all’interno dell’Unione.

L’accordo ha rappresentato per Cameron una vittoria più simbolica che effettiva, a guardare bene infatti l’esclusione della Gran Bretagna da un’“unione sempre più stretta” era uno status quo già acquisito e ora solo ratificato mentre i limiti all’accesso al welfare inglese per i cittadini comunitari nei primi quattro anni non rimpinguerà certo le casse del Tesoro.

E proprio perché l’accordo non è stato considerato sufficiente ha deciso di scendere in campo Johnson, candidato più probabile al dopo Cameron, schierandosi dalla parte di coloro che il prossimo 23 giugno voteranno a favore della cosiddetta Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dell’Unione. 

Questo cambia decisamente le carte su un tavolo che si stava serenamente avviando verso una serena soluzione scevra di drammaticità.

Con la figura di Johnson in grado di spostare gli equilibri è ritornato quel clima di incertezza che ha indotto i mercati a svalutare la sterlina.

Ma quali potrebbero essere le reali conseguenze di Brexit? Difficile prevederlo.

Una pesante svalutazione della sterlina potrebbe mettere a nudo il forte passivo nella bilancia dei pagamenti inglese che insieme all’elevata valutazione del patrimonio immobiliare londinese condurrebbe ad un aumento del rischio sugli asset inglesi con conseguente fuga dei capitali.

Una volta fuori dall’Unione, il Regno Unito potrebbe allora aggiungersi, come Norvegia e Islanda, allo Spazio Economico Europeo potendo accedere al mercato unico ma dovendo comunque sottostare a gran parte delle regole da cui pretende ora di essere esentata. Se invece scegliesse un accordo bilaterale (come la Svizzera ad esempio) avrebbe molta più libertà ma un accesso più ristretto al mercato comune, e ciò potrebbe significare la fuga di gran parte della multinazionali con sede sull’isola che vedrebbero restringersi enormemente il numero di potenziali consumatori, banche della City incluse.

Certo è che la sovranità evocata da Johnson come diritto inalienabile e da difendere a tutti i costi nel mondo globalizzato odierno è più uno slogan populistico che una concreta possibilità. La capacità di legiferare e decidere ogni cosa autonomamente in un mercato sempre più mondiale è una chimera che non ha senso di essere, a meno che non si opti per l’isolamento come ha fatto il regime nordcoreano.

E questo dovrebbe esser chiaro anche ai movimenti antieuropeisti che operano in Italia e Francia. Se il referendum britannico avesse esito positivo sarebbe infatti naturale che il dibattito si aprisse seriamente anche in questi paesi portando quindi la stessa incertezza che sta vivendo ora il Regno Unito e causando un nuovo aumento dello spread e un calo della già modesta fiducia delle imprese.

Risulta quindi chiaro come sia per quanto riguarda l’accordo raggiunto nella notte di venerdì 19 febbraio sia per il dibattito sul referendum di giugno le conseguenze economiche dirette siano di modesta entità ma portino una crescente incertezza e abbiano un valore simbolico non trascurabile per quello che potrebbero voler dire nel lungo periodo.

Nel breve periodo un’Europa senza Gran Bretagna potrebbe reggere, ma se nel lungo divenisse un’Europa senza anche Francia, Italia o Spagna sarebbe ancora Europa?

 

Per Approfondire ecco un breve ma interessante video prodotto dal Global Economics Dynamics Project di Bertelman Stiftung, in cui viene spiegato il fenomeno Brexit.

 

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